LA STORIA
Era landa, deserta su pel colle,
Ove orror dell’odiar era passato,
Era landa, deserta e il sol splendea
In terra sola e senza messi.
Lo
sbarco
ad
opera
del
V
Corpo
d’Armata
statunitense
era
avvenuto
tra
Anzio
e
Nettuno,
il22
gennaio
1944,
un’operazionemilitare
effettuata
con
mezzi
anfibi
condotta
dagli
Alleati
sulla
costa
tirrenica
durante
la
campagna
d’Italia
nella
seconda guerra mondiale.
Le
truppe
sbarcate
in
quella
lingua
di
spiaggia
tra
Anzio
e
Nettuno
avrebbero
occupato
i
Colli
Albani,
impedendo
la
ritirata
delle divisioni tedesche: la loro. Distruzione avrebbe consentito di conquistare Roma.
La
linea
di
combattimento
avvenne
nell’agro
romano
sotto
Albano
nei
pressi
delle
stazioni
di
Campoleone,
Cisterna
e
Aprilia
penetrando a 20 chilometri dal mare.
Le
truppe
tedesche
e
quelle
americane
combatterono
in
quel
triangolo
di
terra,
lungo
il
tragitto
della
ferrovia,
proprio
attorno
e sul territorio di Giannettola.
Fu allora che era stata una terra martoriata dai segni roventi della guerra.
La
V
Armata
del
Generale
Clark
il
4
giugno
del
1944
entrò
in
Roma
e
venne
accolto
da
entusiastici
festeggiamenti.
L’impeto
dell’entusiasmo
si
rapprese
agli
animi,
tutta
la
città
sentiva
la
liberazione
nell’aria
e
ci
si
lasciava
contagiare
dall’inizio
di
una
nuova era di pace.
In
quel
tempo,
nonno
Riccardo
che
era
l’ultimo
figlio
di
una
agiata
famiglia
marinese
caduta
in
disgrazia
per
gli
eccessi
del
gioco,
si
racconta
che
i
suoi
avi
scommettessero
le
terre
tra
gli
altri,
anche
con
il
poeta
D’Azeglio,
e
che
così
avessero
tristemente perduto tutti i loro beni.
Riccardo
sopportò
sempre
amaramente
questo
stato
di
cose
e
appena
i
tempi
glielo
permisero
nel
1944,
perspicace
e
volitivo
si
riconquistò
pian
piano
tutto
il
terreno
perso
sino
a
creare
nel
secolo
una
grande
realtà
agricola
fiorente
di
vigne
e
di
frutteti
che davano lavoro e pane a tutti i contadini dei dintorni.
Andò creatura al campo, mirò triste la landa
e amor la prese per la terra madre
Che l’opra attende a ridonare il pane.
Lui
vide
una
terra
arsa,
ferita
dai
bombardamenti,
oltraggiata
dalle
mine,
contagiata
da
Ada
eri,
maNonno
non
si
spaventò
,nè
indietreggiò: quella era la sua nuova redenta Giannettola che guardò con sguardo d’amore.
Andò
da
solo
a
sminare
il
terreno,
a
spianare
i
fossati,
a
togliere
ogni
residuo
e
ricordo
bellico
con
coraggio
da
leone;
sotto
un
arco romano trovò i corpi di due soldati che avevano combattuto la loro ultima battaglia.
Ed
ora,
dal
cuore
di
nonno
tutto
urlava
al
risorgere
della
vita,
con
uno
stato
d’animo
forte
che
solo
chi
ha
vissuto
in
quel
presente poteva provare e comprendere.
Una
sorta
di
euforia
dell’esistenza,
gli
animi,
stremati
dai
tempi
di
guerra,
avevano
nello
spirito
l’utopia
di
far
risorgere
la
vita
tutta.
Quello
del
Nonno
era
colmo
del
sentimento
di
far
rinascere
l’amata
terra
in
quegli
anni
nei
quali
sembrava
tutto
distrutto e annientato dall’amarezza della guerra che però conteneva in se stessa la spinta al rinnovamento.
Una
volta
sgomberata
da
ogni
residuo
bellico,
ecco
quella
terra
gli
apparve
già
bella,
tutta
sua,
quella
madre
terra
e
volle
farne una terra di pace.
Ed ecco il ritornar dell’uomo in solco,
con arato a dissodar per colli,
Ecco semente alfin e giovin tralcio sposar la terra.
Agli
inizi
del
1945
Nonno
mandò
operai
a
dissodare
la
terra
e
l’opera
dei
trattori
la
lavoravano,
solcandola,
impastandola,
e
la
riportavano al suo vivo color naturale marrone rossiccio caldo al tramonto dorato del sole.
Nonno
Riccardo
la
rimirava,
era
bella
la
sua
terra,
ne
era
innamorato
come
di
una
bella
donna,
e
dove
s’innalzava
una
collinetta ancora spoglia, già la immaginava verdeggiante tutta vestita di tralci.
Fu
un
grande
pioniere
dell’agricoltura
e
soprattutto
un
amante
senza
limiti
della
terra
che
talvolta
portava
a
Roma
dentro
un
fazzoletto per farla rimirare al resto della famiglia.
Ora landa deserta in su pel colle,
odorosa è la terra che tutta ne risplende
E il silenzio di un dì or s’è mutato in canto
della vita che rinnova….
Già
agli
inizi
del
1948
Giannettola
era
ammantata
del
verde
delle
vigne
e
del
biondo
del
grano
che
ondeggiava
al
vento.
Venne
costruito
un
capannone
di
canne
di
bambù,
rimasto
storico
nell’azienda
per
la
sosta
e
il
pasto
dei
lavoranti,
poi
vennero
i primi casolari bianchi circondati dalle giovani fronde di pini, dopo settant’anni divenuti alberi altissimi e ombreggianti.
Dagli
anni
’50
molti
furono
i
premi,
piovevano
le
coppe
d’argento
a
grappoli,
conferite
all’Azienda
Agricola
Martella
e
a
lui,
Nonno, personalmente per l’incremento della produzione e del lavoro agricolo nelle aree del Mezzogiorno.
Ricordo,
quando,
come
premiata
Azienda,
durante
le
Sagre
dell’uva
ci
infilavano
me
e
i
miei
fratelli
più
piccoli
dentro
un
grande
cestone
tutto
adornato
di
grappoli
d’uva
e
noi
dovevamo
sorridere
ai
fotografi
e
alle
autorità.Dovevamo
essere
molto
carini perchè la gente ci sorrideva per l’originalità della scenetta e Nonno ne era orgoglioso e felice.
Giannettola
si
andava
arricchendo
sempre
di
più:
il
suo
accesso
difficoltoso
solo
attraverso
una
strada
di
terra
venne
facilitato
da
tre
ponti
per
facilitarne
il
transito
delle
auto
e
dei
mezzi
agricoli;
li
chiamò
con
i
nomi
dei
miei
fratelli,
ponte
Paolo,
Raffaele
e
Massimo,
a
me
invece
dedicò
un
boschetto
di
eucaliptus,
dove
passeggiavo
quando
ero
bambina
e
c’era
attorno
anche
una
fontanella piena di pesci rossi che mi piacevano tanto e avrei voluto acchiappare con le mani.
Fece
costruire
inoltre
una
torretta
sulla
collina
dominante
le
terre,
che
sentimentalmente
donò
a
me,
come
segno
di
grande
affetto,
per
godere
dall’alto
l’intera
vista
dell’Azienda
con
lo
sguardo
che
si
allungava
fino
al
mare,
ma
che
a
lui
poteva
anche
servire per vedere dall’alto gli operai lavorare o altrimenti se facevano l’amore tra la vigna.
A
lui
non
sfuggiva
niente.
C’era
un
suo
detto
marinese
un
po’
misterioso
che
recitava
di
tanto
in
tanto:
“Le
fave
nun
cenno,
le
zampate nun cenno, booo…!”
L’azienda
diventò
negli
anni
‘Sessanta
un
modello
di
riferimento
per
le
altre
medie
e
grandi
aziende
dell’Agro
Pontino,
per
i
risultati
ottenuti,
e
per
la
passione
e
la
dedizione
del
suo
fondatore
Nonno
Riccardo
che
la
seguì
sempre,
come
un
gioiello,
fino agli ultimi tempi della sua vita.
Il dolce risalir di colle in colle
È verde immenso che s’eleva al cielo
E tra le foglie il guardo può mirare
Del sudore dell’uom mirabile frutto
Carla Martella
Versi di Leone Ciprelli, poeta di Marino